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Work-life balance: di cosa si tratta?

Le speranze che animano gli studenti durante il percorso universitario spesso coincidono col raggiungimento del “lavoro dei nostri sogni”. Si tratta di un obiettivo totalizzante e che si immagina, di solito, ben retribuito! Tuttavia, a causa dell’inesperienza, talvolta accade che i neolaureati nutrano la tendenza di accettare impieghi a prescindere dalle condizioni che possono presentare. Per quale ragione? A causa dell’ansia di cominciare a fare esperienza. I giovani, in questo modo, incorrono nel rischio di accumulare stress e affrontare ritmi insostenibili per raggiungere risultati in tempi brevi. Ciò che ancora non sanno è che, a lungo andare, è essenziale trovare un ottimale work-life balance per vivere in serenità. Scopriamo di cosa si tratta!

Work-life balance

Al giorno d’oggi, il concetto di work-life balance è ampiamente utilizzato nel mondo del lavoro. Ma da dove ha origine? Il termine comincia a diffondersi negli anni Settanta, durante una fase di transizione in cui si passa da un’economia fortemente industrializzata a nuovi modelli organizzativi, che iniziano a mettere in discussione i ritmi rigidi della produzione di massa. Negli anni Novanta, con l’avvento della cosiddetta “età dell’informazione”, il concetto si rafforza ulteriormente: il lavoro si fa sempre più flessibile, pervasivo e legato alla tecnologia. Ciò contribuisce a sfumare i confini tra sfera privata e professionale.

Il termine conosce un’impennata d’uso soprattutto negli anni Duemila, in parallelo ai cambiamenti legati all’emancipazione femminile. Le famiglie non si basano più sul modello tradizionale e sempre più donne entrano stabilmente nel mercato del lavoro. Nascono così nuclei familiari che vedono entrambi i partner occupati a tempo pieno. Questo rende più difficile trovare un equilibrio tra carriera e vita personale, poiché entrambi i coniugi non riescono ad assumere esclusivamente il ruolo di caregiver o occuparsi della gestione della casa.

Nasce, dunque, l’esigenza di bilanciare il rapporto tra vita professionale e vita privata. Ciò avviene secondo modalità su misura per ciascuno, trattandosi di una condizione profondamente soggettiva. Si apre così una nuova fase, in cui il lavoro, la gestione dello stress e la costruzione di relazioni professionali mantengono un ruolo centrale, ma non più a discapito del tempo libero e del benessere personale, ai quali viene riconosciuta pari importanza.

Come le aziende promuovono il benessere: welfare aziendale

Ma perché questo bilanciamento interessa così tanto alle aziende? Assicurare un buon equilibrio vita-lavoro consente loro di prevenire fenomeni come il burnout – esaurimento di risorse mentali e fisiche – e di poter contare su collaboratori produttivi, motivati e determinati a dare il meglio per il raggiungimento degli obiettivi collettivi.

In quest’ottica, la promozione di programmi di welfare aziendale rappresenta un investimento strategico: migliora il benessere dei dipendenti, rafforza il senso di appartenenza e aumenta la fiducia nei confronti dell’organizzazione. Tra le iniziative più diffuse rientrano la flessibilità oraria, il lavoro da remoto o ibrido, i congedi parentali estesi. E ancora: servizi di supporto psicologico, spazi aziendali dedicati al relax o all’attività fisica e persino corsi di formazione per la crescita personale.

Tuttavia, questi strumenti rischiano di risultare inefficaci se non accompagnati da una cultura aziendale autenticamente orientata al rispetto e alla valorizzazione del singolo individuo. Solo quando le politiche vengono integrate in un sistema di valori condivisi si può parlare davvero di un work-life balance sostenibile.

Quali sono le red flag da considerare?

Il work-life balance è oggi considerato uno degli indicatori fondanti della sostenibilità aziendale. Non si parla più solo di impatto ambientale, ma anche di benessere delle persone che vivono l’azienda ogni giorno. Nella puntata del podcast Che cos’è la sostenibilità aziendale, abbiamo approfondito questo tema insieme a Caterina Boschetti – founder del blog Becomeen – chiedendole quali siano, secondo lei, le 5 red flag da tenere d’occhio per valutare al meglio l’ambiente lavorativo in cui ci troviamo. Abbiamo scoperto l’importanza di condurre una attenta analisi a partire dalla job description: un annuncio di lavoro che richiede competenze eccessivamente trasversali, potrebbe essere un primo segnale d’allarme. In fase di colloquio, è opportuno fare caso all’espressione che viene utilizzata per definire la realtà lavorativa. Espressioni come “siamo una grande famiglia” potrebbero fungere da monito. Questo perchè implicano dedizione e disponibilità in qualsiasi momento. Anche domande personali, soprattutto se rivolte a donne, possono essere sintomo di un sistema disfunzionale. Sul lavoro, invece, è bene notare l’atteggiamento di colleghi e responsabili: essere schivi è un segnale di un clima negativo.

Conclusione

L’Italia si classifica al 27esimo posto su 30 in materia di work-life balance tra i Paesi d’Europa. Questo è quanto emerge dallo studio Europe Life-Work Balance Index 2024. I fattori che hanno inciso maggiormente sono la mancanza di un salario minimo e la poca inclusività.

Si tratta di un risultato preoccupante, che mette in luce le lacune strutturali del sistema italiano nel garantire condizioni di lavoro sostenibili e dignitose. Al contrario, Stati come i Paesi Bassi e la Danimarca occupano le prime posizioni della classifica, grazie a politiche di welfare avanzate, orari di lavoro flessibili e un forte investimento nel benessere dei dipendenti.

Il basso posizionamento dell’Italia comporta conseguenze tangibili: un maggiore rischio di burnout, una minore soddisfazione lavorativa e, nei casi più estremi, la fuga di talenti verso realtà straniere, più attente all’equilibrio tra vita e lavoro. Per questo motivo è fondamentale che istituzioni e aziende italiane inizino a considerare il work-life balance come una condizione imprescindibile per attrarre, valorizzare e trattenere le persone, migliorando al tempo stesso la produttività e il clima organizzativo.

Dedico il mio tempo a JECoMM dal 2022. Laureanda in Mediazione Linguistica e Culturale, sono appassionata al mondo della comunicazione e del marketing. Credo nel potenziale delle relazioni umane e sociali, fatto di confronti e scambi.

alice.dipietro@jecomm.it

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