
Greenwashing: come le aziende ingannano i consumatori
Negli ultimi anni le aziende si stanno sempre più interessando ai bisogni dei consumatori. Per differenziarsi dai competitors e migliorare la brand reputation, è importante che riescano a offrire un valore aggiunto. Ma cosa interessa maggiormente agli acquirenti? Tra i temi più discussi, troviamo il marketing sostenibile, detto anche marketing verde. Si tratta di una pratica aziendale che mira a promuovere prodotti e servizi sostenibili, che hanno un impatto ambientale positivo. Non sempre le aziende, però, compiono operazioni realmente sostenibili. Si sta infatti diffondendo sempre più il fenomeno del greenwashing. In questo caso le imprese promuovono un’immagine di sostenibilità ambientale che non corrisponde alla realtà dei loro prodotti e servizi. Ciò porta a diverse conseguenze negative come la perdita di fiducia da parte dei consumatori. Vediamo meglio di cosa si tratta!

Aziende accusate di greenwashing
La Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) ha denunciato e accusato Volkswagen nel 2015 per l’utilizzo di un software truccato su milioni di veicoli. Questo era progettato per falsare i test sulle emissioni e far apparire i motori diesel più ecologici di quanto fossero realmente. La realtà era però ben diversa: le auto, infatti, emettevano fino a 40 volte in più ossidi di azoto rispetto ai limiti legali. In seguito allo scandalo, l’azienda ha promesso un cambiamento nei sistemi di controllo, ammettendo pubblicamente la propria responsabilità.
Possiamo trovare esempi anche nel mondo della moda, come nel caso di H&M e Decathlon, che nel 2022 sono finiti sotto la lente dell’Autorità Olandese per i Consumatori e i Mercati per l’uso di etichette ambientali ritenute fuorvianti. Venivano usati termini come “scelta consapevole” ed “eco design”, senza però dettagli concreti che potessero svelare il significato di tale sostenibilità. Le due aziende non sono poi state ufficialmente sanzionate, ma hanno accettato di donare rispettivamente €400.000 e €500.000 a progetti di sostenibilità come forma di compensazione e hanno rimosso l’etichettatura contestata.
Conseguenze del greenwashing
Nel 2023, oltre la metà dei consumatori ha dichiarato di essersi imbattuta in affermazioni ambientali fuorvianti da parte dei brand. Oggi, in un contesto di crescente consapevolezza ambientale, i consumatori si identificano di più con i marchi che pongono la sostenibilità al centro dei propri valori e delle proprie azioni.
Per contrastare le pratiche ingannevoli, l’Unione Europea introdurrà entro il 2026 una legge che vieta le dichiarazioni ambientali false. Le aziende dovranno dimostrare con prove concrete la veridicità delle proprie affermazioni sostenibili.
Negli Stati Uniti, la Federal Trade Commission regola la comunicazione ambientale tramite le Green Guides, fornendo indicazioni precise su come promuovere correttamente la sostenibilità di prodotti e servizi. Nel Regno Unito, invece, il Green Claims Code ha introdotto nuove regole, in vigore da maggio 2024, per rafforzare la lotta contro il greenwashing e garantire maggiore trasparenza nei messaggi ambientali dei brand

Oltre il greenwashing
Non tutte le aziende adottano comportamenti scorretti: per questo si parla anche di greenhushing. Si tratta della scelta intenzionale di non comunicare i propri sforzi in ambito sostenibile, nonostante l’adozione di misure concrete. Questo atteggiamento nasce spesso dal timore di ricevere critiche o di essere accusati di greenwashing.
Esiste anche il greenwishing, per cui la pratica di greenwashing non avviene in modo intenzionale. In questi casi, troviamo un genuino desiderio di sostenibilità da parte dell’azienda, che tuttavia erra nel modo in cui presenta le misure sostenibili utilizzate. Capita, per esempio, di descrivere un impegno maggiore rispetto a quello reale, o di elencare effetti positivi della loro azione che, tuttavia, non coincidono con le conseguenze reali.
Infine, si parla di bluewashing per indicare tutte le azioni che hanno come obiettivo quello di migliorare l’immagine aziendale, senza un reale impegno concreto. Il termine richiama tutte le componenti “blu” del pianeta, come oceani, mari, fiumi e laghi, e la tutela degli ecosistemi e degli organismi che li popolano.
Conclusione: ne vale la pena?
La nostra risposta a questa domanda è no. Il danno d’immagine che ne deriva può essere significativo, compromettendo la reputazione dell’azienda e portando i consumatori a perdere fiducia nel brand. Per evitare il danno è importante dunque che le imprese abbiano davvero a cuore il tema della sostenibilità e che lo affrontino con onestà e in modo proattivo. Diventa così fondamentale evitare slogan vaghi e supportare le dichiarazioni ambientali con dati verificabili, collaborando con enti esterni per garantire trasparenza e affidabilità.
In un mercato sempre più attento, la sostenibilità non può più essere una strategia di marketing, ma un impegno concreto e dimostrabile.